CENTO (FE) 17/10/21 ( DI IRENE FINI ) PER L’ASSOLO DI IRENE: TRA INNOVAZIONE E RIVOLUZIONE: L’ALTARE DELLA SALUTE DI GIUSTO LE COURT !
Per comprendere le evoluzioni e le trasformazioni delle produzioni artistiche, è sempre necessario
analizzare il contesto storico-geografico di riferimento.
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Il XVII secolo si presenta come un periodo carico di profonde trasformazioni politiche e culturali, dominato dallo scontro fra Spagna e Francia, che non solo si contendono il primato in Europa, ma a
loro volta, subiscono l’impatto delle contrapposte ideologie religiose: se da un lato, infatti, in area
Germanica e parte dei Paesi Bassi, persiste il protestantesimo; dall’altro, il cattolicesimo resiste in
Francia come in Spagna. All’interno di questa cornice, l’Italia rimane frammentata nei numerosi
stati regionali e sotto il dominio spagnolo, dove forse solo Roma e Venezia riuescon a mantenere
una propria autonomia.
Tuttavia, la stessa precarietà della situazione politica delle penisola si ritrova anche nella condizione
artistica. Il nuovo naturalismo di Caravaggio domina fin dall’inizio del nuovo secolo Roma e
Napoli, a cui si contrappone una visione più classicheggiante dei Carracci a Bologna. Nellospecifico del contesto romano si trova anche la fioritura di una nuova architettura e scultura definita
“barocca” condotta da Bernini, Borromini e Pietro da Cortona. Fino ad arrivare ad un’ondata di
ritorno allo stile caravaggesco sostenuta e rappresentata dallo spagnolo Ribera.
Quindi se da un lato in Italia in questi maggiori centri troviamo uno sfavillio di astri maggiori, la
stella della Serenissima nel XVII secolo sembra offuscata; fino addirittura essere connotata e
condannata come “poco gloriosa”. Ed è purtroppo anche per questo motivo, che l’arte seicentesca
veneziana è sempre stata poco conosciuta e, quindi, poco studiata. In realtà, grazie a degli studi
relativamente recenti, si è messo in luce una ricchissima produzione artistica, che hanno evidenziato
con forza tantissimi aspetti della cultura locale, tra cui quello della scultura. Intraprendendo così percorsi di rinnovamento totalmente diversi. Se da un lato, infatti, la pittura
veneziana riuscì a svincolarsi dall’impernate tradizione cinquecentesca sull’esempio delle grandi
famiglie pittoriche eredi di Tiziano, Tintoretto, Veronese e Giorgione, per raggiungere un
aggiornamento in senso barocco (come Regnier, Fetti, Cagnacci ecc.), per poi esplodere con lo stile
dei tenebrosi (Loth, Zanchi Langetti); dall’altro la scultura non intraprese il medesimo percorso,
anzi rimase fortemente bloccata allo stile cinquecentesco di Alessandro Vittoria e Girolamo
Campagna. In tal senso bisognerà attendere solo il 1660 per vedere un vero e proprio cambiamento.
La personalità che apporterà la svolta in scultura a Venezia fu Giusto Le Court, scultore di origine
belga, nato nel 1627, che trascorrerà tutta la sua vita in laguna, fino alla morte nel 1679. Si sa poco
della sua formazione, ma è quasi certo che egli fu a Venezia già dal 1655. Giusto Le Court nel corso
di una ventina d’anni riuscì a sviluppare in città un barocco del tutto originale, ma soprattutto
diverso ed autonomo rispetto a quello del Bernini a Roma.
È sotto la figura di Baldassare Longhena, importante architetto della Serenissima, che Giusto Le
Court ebbe modo di sbocciare come scultore. Longhena da abile direttore d’orchestra proprio già
sollecitato dalle singolari qualità del fiammingo, iniziò ad ideare altari e monumenti nei quali lascultura finalmente iniziava ad assumere un significato sempre più importante: dalla realizzazione
dell’Altare della Chiesa di San Pietro in Castello fino a quello della Basilica della Salute.
È proprio nell’altare della Basilica della Salute, simbolo della liberazione della città dalla peste del
1630 circa, che Longhena mise a punto una struttura di chiaro rigore architettonico, lasciando però
pieno campo alla scultura. Tra la spoglia severità della mensa e la concitata azione del gruppo
principale, Giusto Le Court riversò nell’altare un notevolissimo impegno che non tralascia alcun
dettaglio del racconto. Un’unione narrativa straordinaria lega le sculture indipendenti dall’impianto
architettonico dell’altare: partendo da sinistra si ritrova il San Marco, riconoscibile dal leone ai suoi
piedi, che quasi come se fosse stato interrotto nella lettura del libro, alza repentino il capo verso
Venezia che, inginocchiata, implora la Madonna col Bambino, posati su nubi popolate di cherubini,
di liberare la città dalla terribile pestilenza. Per poi arrivare all’angioletto che, armato di fiaccola
simbolo della Sapienza, scaccia una vecchia rugosa, impersonificazione della Peste; fino a
concludere col San Lorenzo Giustiniani, primo patriarca della Serenissima. Sono proprio i panneggi
dei personaggi, così ricchi di pieghe che con il loro accartocciarsi donano il senso di movimento e
di narrazione, che evidenziano l’estrema distanza dallo stile profondamente barocco in senso
fiammingo di Le Court da quello invece “più classico” del Bernini romano (esempio, San Longino).
Il ciclo lecourtiano della Salute, notevole in ogni suo singolo dettaglio, dalle infinite espressioni e
silenzi, rappresenta così non solo l’innata abilità di Giusto Le Court, ma una vera e propria
innovazione e rivoluzione in campo scultoreo, che avrebbe avuto un’influenza determinante per i
successivi svolgimenti artistici veneziani.