CENTO (FE) 14/11/20 ( DI IRENE FINI PER IL PUNTO DI VISTA DI IRENE ) IL PUNTO DI VISTA DI IRENE FINI SI FERMA SULL’IMPORTANZA DEI MONASTERI COME CENTRI CULTURALI E NON SOLO MISTICI E RELIGIOSI; PORTANDOCI L’ESEMPIO DEL MONASTERO DEDICATO A SANT’ANTONIO IN POLESINE
È sempre molto affascinante osservare e capire l’importanza che svolge la tradizione artistica e
culturale nelle nostre vite da diverse prospettive; in particolare modo, in luoghi religiosi che ancora
oggi sono ben presenti sul nostro territorio.
Con l’appuntamento di oggi, mi piacerebbe accompagnarvi in un luogo avvolto da un’atmosfera
mistica, a tratti anche un po’ malinconica, fatta di silenzi e segreti, ma anche ricco di tradizione
culturale. Tuttavia, prima di addentrarci tra le mura e le stanze di questo edificio, vorrei condividere
con voi l’importanza storica e artistica che hanno svolto, e continuano a svolgere, i monasteri.
Il fenomeno del monachesimo è nato in Oriente nel corso del III secolo, quando, comunità di
religiosi, ritirandosi dalla vita laica, iniziarono a condurre un’esistenza interamente dedita alla
preghiera e alla meditazione. Più tardi, questo fenomeno giunse anche in Occidente, dove però
abbandonò il carattere ascetico delle origini, proponendo un modello di vita maggiormente calato
nel mondo quotidiano.
In questo senso, tanti possono essere gli esempi italiani: il più celebre e almeno una volta sentito
nominare a scuola, è San Benedetto da Norcia, il quale nel 529 fondò l’Abbazia di Montecassino,
accompagnato dalla famosissima “ora et labora”, prega e lavora. Ma, cosa si intendeva con
“lavora”? È proprio la regola benedettina che inaugura, non solo un periodo di evangelizzazione dei
popoli, ma anche un periodo di conservazione e diffusione del sapere. Infatti, i monaci nelle ore del
“lavoro”, oltre a dedicarsi alle faccende di vita quotidiana, all’interno degli scriptoria (scrittoi)
copiavano i testi antichi, sia pagani che cristiani, con l’obbiettivo di tramandarli nel tempo. È
proprio grazie al loro apporto, quindi, che noi, ancora oggi, possiamo conoscere, ammirare e
usufruire di alcune opere che altrimenti sarebbero andate perdute. Tra le altre cose questi monaci
erano anche dei veri e propri artisti; infatti, i manoscritti copiati e ricopiati dal loro stilo erano delle
vere e proprie opere d’arte miniata, decorate e arricchite da colori sgargianti.
Altra domanda lecita e non scontata è: perché nascono questi luoghi? Nascono per esigenze di
raccolta e unione religiosa, per tramandare ed evangelizzare le popolazioni, ma soprattutto i
monasteri vengono costruiti anche per dare dignità alla salma di un Santo. In questo senso, ricordo
la Basilica di Assisi, sorta per fornire un luogo di sepoltura degno per la salma di San Francesco;
allo stesso modo la Basilica di Santa Chiara (Assisi), per ospitare le spoglie della Santa
appartenente all’ordine delle clarisse.
Ed ecco che allo stesso modo, anche il protagonista di oggi, ovvero il Monastero (ordine
benedettino) di Sant’Antonio in Polesine a Ferrara, sorge per accogliere con umiltà la Beata
Beatrice II d’Este, una vera e propria dimensione dell’anima. Dopo la morte della Beata,
proseguirono i lavori di restauro e di ingrandimento del complesso monasteriale. Interessante è
sapere che l’utilizzo dei materiali per la costruzione ritrova una sua motivazione specifica nella
concezione di vita della Beata: infatti, per lo spirito di povertà che animava la Fondatrice, venne
utilizzato del materiale di recupero.
Tuttavia, questi luoghi monastici devono anche sempre fare conto del flusso di pellegrini, che
quotidianamente, come ad Assisi, attraversavano gli ambienti per giungere e pregare d’innanzi alle
spoglie del santo. Se il sentimento suggeriva di rimanere in qualche modo legati alla predicazione
della Beata, l’uso del vecchio materiale non assicurava la durevole consistenza dell’edificio. Così,
nel 1270, dopo la celebrazione della beatificazione vescovile della Fondatrice, l’ambiente dovette
adeguarsi e capace per le folle dei fedeli che accorrevano.
Dal punto di vista architettonico, oggi rimangono le colonnine tortili di rovere, romaniche e
duecentesche, poste al primo piano del lato interno nord del chiostro; Chiesa e chiostro sono
abbellite delle linee gotiche del Maestro Tigrino. Del primo decennio del XIV secolo appartiene,
invece, il ciclo di affreschi della vita di Cristo ad opera di un pittore di stile emiliano-riminese, il
quale attingeva dalla scuola di Giotto. Ciò che più mi ha colpito di queste meravigliose opere ad
affresco è in particolare modo una scena: Cristo che da solo sale sulla Croce. Scena di forte impatto
emotivo e religioso, accompagnata da un buon stato di conservazione, viene raccontata e descritta
minuziosamente dalla spiegazione di una monaca di clausura. Sì, perché ancora oggi Sant’Antonio
in Polesine è abitato e vissuto, proprio come ai tempi della Beata Beatrice II d’Este, da suore di
clausura di ordine benedettino.
Non vi vorrei svelare più di tanto, per lasciare a voi lo stupore alla vista di questi meravigliosi
affreschi; alla visita di questo luogo meraviglioso e ricco di cultura, che, appena vi sarà occasione,
vi consiglio vivamente di andare a visitare. E poi, perché no, ricevere anche un vostro riscontro in
merito.