CENTO (FE) 02/06/20 – ( UFFICIO STAMPA ) DIECIMILA ANNI IN CARCERE PER NON VOLER UCCIDERE: L’IMPRESSIONANTE CONTRIBUTO DEI TESTIMONI DI GEOVA AL RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO ALL’OBIEZIONE DI COSCIENZA IN ITALIA
Un sondaggio condotto dalla confessione religiosa dà un’idea dell’enorme prezzo pagato da migliaia di
Testimoni di Geova italiani, specialmente negli anni ’60-’90, per non aver voluto imbracciare le armi
Oggi la giurisprudenza internazionale riconosce l’obiezione di coscienza al servizio militare come uno dei
diritti umani fondamentali, ma non è stato sempre così. In molti paesi fra cui l’Italia il riconoscimento di tale
diritto è stato una conquista di civiltà pagata a caro prezzo. “Se in Italia abbiamo avuto il riconoscimento
dell’obiezione di coscienza”, ha scritto Alberto Taccia, pastore valdese, “lo dobbiamo, in gran parte, ai giovani
Testimoni di Geova che si sono fatti mesi di galera nelle fortezze militari, per essere poi congedati con
umilianti diagnosi di delirio religioso o incapacità psicofisica”. 1
I Testimoni di Geova hanno sempre ritenuto il servizio militare incompatibile con l’etica di Gesù basata
sull’amore e con il comando di amare i propri nemici. Quanti testimoni di Geova italiani nell’ultimo secolo
hanno pagato col carcere la loro obiezione di coscienza? E quanti anni hanno trascorso in carcere? Poiché non
è possibile rispondere con precisione a queste domande consultando semplicemente la documentazione
conservata nei tribunali, l’ufficio centrale dell’ente confessionale ha deciso di condurre un sondaggio
rivolgendosi ai Testimoni che sono ancora in vita. Il risultato fornisce una stima (sebbene per difetto)
dell’enorme impatto che la posizione dei giovani testimoni di Geova obiettori ha avuto, specialmente nel
secondo dopoguerra, sulla società italiana. È emerso che, tra i testimoni di Geova italiani attualmente in vita,
almeno 14.180 hanno dovuto scontare una condanna per aver rifiutato di prestare servizio militare. Ciò
avvenne in larga parte tra la fine degli anni ‘60 e la fine degli anni ’90. In totale, i partecipanti al sondaggio
hanno trascorso in carcere ben 9.732 anni.
I testimoni di Geova costituirono “la stragrande maggioranza dei giovani incarcerati per essersi rifiutati di
svolgere il servizio militare”, ha commentato lo storico Sergio Albesano. “Con la loro massiccia adesione al
rifiuto di entrare nelle fila dell'esercito, di fatto crearono un caso politico e aiutarono a portare il problema
all'attenzione dell'opinione pubblica”. 2 La posizione assunta dai Testimoni obiettori di coscienza colpì anche
l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che nel 1983 scrisse: “Negli anni Sessanta, quando ero alla
Difesa, volli rendermi conto del fenomeno, che andava moltiplicandosi, delle obiezioni militari di coscienza da
1 Riforma, 5 ottobre 2001, p. 5
2 Azione nonviolenta, luglio-agosto 2018, p. 21
parte di giovani appartenenti ai Testimoni di Geova […]. Mi colpì, parlando con loro uno a uno nel carcere di
Forte Boccea, la evidente ispirazione religiosa e l'estraneità da qualsiasi speculazione politica; non a caso si
sottoponevano ad anni di prigione continuando nel rifiuto di indossare la divisa (non c'era ancora la legge per
gli obiettori, che essi aiutarono molto a far maturare)”. 3
Come i resoconti parlamentari testimoniano, il contributo di quegli obiettori spinse le autorità ad approvare,
dopo anni di discussioni e rinvii, una legge che sanciva finalmente il pieno riconoscimento giuridico
dell'obiezione di coscienza, la n. 230 del 7 luglio 1998. Il servizio di leva obbligatorio venne poi sospeso nel
2005.
“Appare evidente il collegamento tra la legislazione sulle obiezioni di coscienza e l’evoluzione della società
democratica italiana quale comunità di uomini liberi”, ha affermato il Prof. Sergio Lariccia. Oggi l’obiezione di
coscienza è inclusa tra i diritti inalienabili dell’uomo e, sebbene le sue origini culturali siano anche religiose,
ciò che è stato conquistato ha recato benefici a tutti. Abbiamo un debito di riconoscenza verso coloro che
hanno contribuito con la loro vita anche alle garanzie delle nostre libertà”.